Paura della solitudine: perché nasce questo sentimento?

Paura della solitudine: perché nasce questo sentimento?

La paura della solitudine è un sentimento che l’essere umano percepisce in maniera innata. Dentro di lui, il bisogno di essere accettato, di trovare persone simili e di far parte di qualcosa è fondamentale. Per questo motivo crea legami con gli individui che lo circondano.

Nel corso della sua vita, egli cerca di inserirsi all’interno di gruppi sociali, di formare una famiglia e lasciare in qualche modo un segno negli altri. Nessuno, nella vita, desidera camminare da solo. E perciò, in maniera del tutto correlata, si sviluppa nella sua mente anche la paura di perdere gli altri, e rimanere isolato. 

Vediamo quali sono le origini della paura della solitudine. 

Paura della solitudine: un sentimento innato e naturale

La paura della solitudine è una condizione che accompagna l’uomo sin dalla notte dei tempi. Quando, in periodi molto antichi, collaborare con gli altri significava non morire. Veniva dunque naturale legarsi alle persone, fare gruppo comune, per favorire il continuo della specie e non soccombere. 

Ai tempi, essere diversi era una stranezza, una cosa da non accettare. E se ciò accadeva, il “gruppo” tendeva ad isolare la persona “strana”, escludendola da ogni interazione, insultandola e spesso togliendole la vita. 

Tutto ciò, ad oggi, non è cambiato. I bambini odierni infatti, proprio come quelli di una volta, sin da piccoli tendono naturalmente a fare gruppo. Di solito cercano i propri simili, mentre sono portati a tenere alla larga chi si mostra differente. 

Certo, senza dubbio abbiamo imparato ad essere più tolleranti e accoglienti verso l’altro. Ma il senso di distacco da chi non ha niente in comune con noi, è assolutamente naturale. 

Quali sono le sue origini?

Tutti gli esseri umani provano la paura della solitudine. Quando infatti si viene esclusi ed emarginati, o semplicemente si litiga con una persona molto cara, il nostro cervello interpreta questa condizione come una minaccia. 

Teme di non far più parte di quel legame, di non essere più appoggiato e aiutato. In sostanza, ha paura di essere lasciato a se stesso. Nel momento in cui avviene la separazione, nasce in automatico un sentimento di stress e ansia, che può sfociare anche in attacchi di panico e depressione. Si cerca quindi di “curare” questo malessere che è nato, provando naturalmente a ricongiungersi con l’altro. 

Non è una condizione naturale invece, quando la paura di restare soli diventa un “blocco”. Come dice il proverbio, l’uomo ha imparato col tempo che è meglio “essere soli, che male accompagnati”. 

Al momento giusto, l’essere umano deve capire quando è meglio troncare un legame, piuttosto che portarlo avanti per paura di restare solo. Deve comprendere che può cavarsela con le sue forze, e se così non è, significa che c’è un problema da affrontare. 

Un percorso di crescita personale, bioenergetica in questi casi può essere molto d’aiuto. Sarà necessario affrontare dei nodi emozionali irrisolti, per capire da dove nasce il timore eccessivo della solitudine. 

Il più delle volte, l’origine di tutto è accostabile a traumi avvenuti nel periodo infantile e adolescenziale. Ed è strettamente correlata alla percezione che ognuno ha di se stesso. Se l’uomo si sente debole, diverso e ha poca autostima, avrà una maggiore paura di restare solo. 

Se invece egli è sicuro di se stesso e delle sue capacità, tenderà ad avere un approccio individuale verso la vita. Ciò non significa che non creerà legami o che non amerà. Ma solo che saprà di avere un valore anche come persona singola, e non solo come “gruppo”.

Foto di Martina JanochováPixabay

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Senso di inadeguatezza: come si può superare?

Senso di inadeguatezza: come si può superare?

Il senso di inadeguatezza comporta delle conseguenze davvero deleterie, prima a livello mentale e poi anche fisico. 

Si tratta di quella sensazione che fa nascere il sentimento sgradevole di non essere “adatti” ad una certa situazione o ad una certa responsabilità. Ed è una caratteristica che mostrano prevalentemente le persone che soffrono di una bassa autostima e di una distorta consapevolezza di sé. 

Pensare di non valere abbastanza, di non avere le giuste capacità e di essere inferiori agli altri. Sono questi gli elementi che delineano il senso di inadeguatezza. 

Vediamo di cosa si tratta e come si può superare. 

Senso di inadeguatezza: cos’è e come si manifesta

Il senso di inadeguatezza è spesso una sensazione talmente forte da intrappolare la persona all’interno dei suoi stessi pensieri. Superare tutto ciò non è per niente facile, ma è possibile. 

Prima però è necessario comprendere al meglio che cosa sia questo sentimento, e come si manifesti. 

Generalmente, quando si affrontano nuove esperienze o sfide, è abbastanza normale sentirsi leggermente “impauriti”, per via di quel qualcosa che non conosciamo. Di solito però, il sentimento di paura svanisce una volta che si riesce ad inquadrare meglio la nuova esperienza. 

Ci sono però persone che non riescono a superare questo timore. Che, anzi, nella loro mente, si trasforma proprio in terrore. In questo caso, non si prova tale sentimento solo affrontando nuove sfide, ma lo si sente nella quotidianità di ogni giorno. 

Chi soffre di questo disturbo, in genere, sente di non trovarsi mai nel posto giusto, e prova costantemente una sensazione di disagio. Trova difficile avere una normale conversazione con persone che non conosce abbastanza, e sente di sbagliare continuamente. 

Quando questo accade, è perché il soggetto soffre di una bassa autostima, e ha la percezione che gli altri siano sempre più capaci, più sicuri e più bravi.

È possibile superare questo sentimento nocivo?

Il senso di inadeguatezza si può sicuramente superare, ma sarà necessario un impegno costante della persona che ne soffre. 

Infatti, una volta che nella mente si è insinuata la percezione del “non essere mai abbastanza”, è molto probabile che questo timore eccessivo si ripresenti spesso in varie situazioni della vita. Anche se l’interessato potrebbe pensare di aver superato la difficoltà. 

Per trasformare davvero la paura, è necessario innanzitutto che la persona prenda consapevolezza di sé stessa e delle proprie capacità. Tutti sono più bravi a fare una cosa, e meno bravi a farne un’altra. Il segreto sta proprio nel trovare ciò che permette al soggetto di mostrare ciò che sa fare, e di essere fiero delle potenzialità che possiede. 

Ma anche nel caso in cui la persona si dovesse trovare nella situazione di affrontare qualcosa che non conosce (e che quindi non sa fare), non c’è da preoccuparsi. Nessuno nasce già istruito, e imparare è un sacrosanto diritto che tutti possiedono. 

Il secondo consiglio che ci sentiamo di dare a chi soffre di bassa autostima, è di dare meno peso alle parole che dicono gli altri. Ciò che può sembrare giusto per qualcuno, potrebbe essere sbagliato per qualcun altro. Non si devono prendere mai come “perle di verità” i pensieri delle altre persone, soprattutto quando queste mettono bocca sulla vita altrui. 

Infine, ci teniamo a condividere con voi una frase del meraviglioso film “L’uomo che fissa le capre”, che siamo certi vi potrà essere d’aiuto. La citazione afferma: 

Quello che più temi non ha alcun potere su di te. È la paura che ha il potere.” 

Fate vostro questo concetto. Studiatelo, capitelo e utilizzatelo come mantra di vita. Solo così potrete iniziare quel percorso che vi renderà liberi.

Foto di Skalekar1992Pixabay

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Senso di colpa: quali conseguenze porta?

Senso di colpa: quali conseguenze porta?

Il senso di colpa è un’emozione complessa, che nasce in maniera innata nel cervello dell’essere umano. Quando accade qualcosa che generalmente è considerata sbagliata, si attua nella società il meccanismo della “ricerca del colpevole”. 

Il tutto si è accentuato poi con l’avvento della religione cristiana, che da sempre ha imposto regole molto ferree alla società occidentale. L’obbligo di reprimere certe emozioni, certi pensieri impuri o certi modi di vivere, fa nascere di conseguenza una sensazione di colpevolezza. Che influenza poi anche la percezione che ognuno ha di se stesso e dei propri comportamenti.

Studi scientifici dimostrano come a provare maggiormente questo sentimento siano le persone che più si attengono alle regole imposte dalla società. Chi invece si mostra più “individualista” in tal senso, in genere è anche più libero dall’imposizione di colpevolezza in generale.  

Vediamo che cos’è il senso di colpa, e quali conseguenze porta. 

Senso di colpa: cos’è e come nasce

Secondo la psicoanalisi, esistono due tipologie di senso di colpa: quello conscio e quello inconscio. 

La tipologia conscia nasce naturalmente nella struttura psichica dell’essere umano durante la sua crescita. Si tratta della sensazione di colpevolezza intesa come “sana”, perché porta il soggetto a capire quando sbaglia. E lo stimola a rimediare ai propri errori. 

Nasce inizialmente con le prime regole imposte dai genitori durante i primi anni del bambino. Quando è ancora piccolo, il soggetto non riesce a distinguere ancora il bene dal male, per cui non obbedisce con coscienza. Ma solo per timore di essere punito o di non essere più amato da chi lo protegge. 

Quando cresce poi, egli inizia a comprendere cosa siano la tristezza, l’angoscia e la delusione. Di conseguenza, è portato a provare dispiacere quando ferisce qualcuno. 

La tipologia inconscia invece è quella dannosa. Nasce con motivazioni irrazionali e sconosciute, e porta il soggetto a sentirsi colpevole di cose che, in realtà, non sono sbagliate.  

Questa dinamica può nascere quando i genitori hanno troppe aspettative sul bambino, per cui egli si sente colpevole se non riesce a soddisfarle. Ma può essere anche una conseguenza di un rapporto d’amore o d’amicizia difficile, in cui il soggetto viene spesso criticato. 

Il soggetto che subisce molte critiche, spesso per motivi futili, a lungo andare tenderà a sentirsi sbagliato e colpevole. Di solito comunque egli soffre già di una bassa autostima, e ciò accentua il malessere. 

Chi si sente in colpa è tendenzialmente legato all’infanzia ad una visione scevra di responsabilità ed alla ricerca di una assoluzione proveniente dall’esterno che gli tolga il peso della responsabilità che non vuole assumere su se stesso.

Quali sono le possibili conseguenze?

Il senso di colpa inconscio può portare numerose conseguenze negative per la persona. A livello psicologico, può far scaturire reazioni: 

  • Ansiose, quando la sensazione di colpevolezza fa nascere un sentimento di inferiorità. A lungo andare, il soggetto tenderà a sentirsi sempre più piccolo, debole e impotente. Sentirà di sbagliare anche facendo normali azioni quotidiane, e sarà costantemente pervaso dall’ansia;
  • Ipocondriache, quando il soggetto si sente talmente colpevole e sbagliato da pensare di “meritare” una punizione esterna. Spesso, quello che si aspetta di ricevere è una malattia;
  • Delinquenziali, quando l’individuo riesce a placare la sensazione di colpevolezza solo commettendo atti che potrebbero portarlo a ricevere una punizione dalle forze dell’ordine, e quindi dallo Stato.

La sensazione di colpevolezza può diventare patologica a seconda delle differenti caratteristiche della personalità del soggetto. In questo caso, si rende necessario seguire un percorso terapeutico che possa aiutare il soggetto a riprendere possesso della sua vita, delle sue azioni e, soprattutto, della realtà. Indipendentemente da chi lo circonda e da ciò che pensano gli altri.

Foto di PublicDomainPicturesPixabay

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Sano egoismo: che cos’è e perché dovremmo averlo

Sano egoismo: che cos’è e perché dovremmo averlo

Il sano egoismo è un bisogno naturale insito nell’essenza dell’essere umano. C’è chi lo sviluppa da bambino, chi da ragazzo e chi invece necessita di più tempo. Presto o tardi però, tutti tendono a prendere consapevolezza di quella che realmente è la propria vita, e smettono di dipendere dagli altri.

L’egoismo dunque, visto generalmente come qualcosa di negativo, ha una sua concezione positiva che è in grado davvero di migliorare la vita.

Di seguito vedremo che cos’è il sano egoismo, e perché tutti dovremmo averlo.

Sano egoismo: di cosa parliamo

Il sano egoismo è come un’arte, che per svilupparsi richiede molta forza di volontà, amor proprio e autostima. Se non si ha fiducia in se stessi e nelle proprie potenzialità, si lascerà agli altri il potere di decidere su tutto. Anche sulle cose che riguardano la propria vita.

Questo modo di agire porta a lungo andare ad una sorta di annullamento della persona, dei suoi pensieri e dei suoi bisogni. Non avrà bisogno di pensare, perché a pensare è qualcun altro. Non avrà bisogno di agire, perché a farlo sarà qualcun altro.

Inconsapevolmente, ci si ritrova all’interno di un tunnel (ben sapendo di esserlo) ma di cui ci siamo persi l’entrata ed al punto che, non si riesce a provare soddisfazione per i propri meriti. Perché impantanati dai bisogni degli “altri”.

Proprio per questo motivo, non è una consapevolezza semplice da sviluppare. È necessario compiere un lavoro interiore per accrescere la propria autostima e la fiducia in se stessi.

Allo stesso tempo, sarebbe molto d’aiuto iniziare a fare una selezione tra le persone che fanno parte della propria vita. Tenendo strette quelle con cui ci si sente felici. E trovando la forza invece di allontanare chi prova a limitare questo sviluppo interiore.

Perché tutti dovremmo averlo

L’assenza del sano egoismo nella vita, porta a delle conseguenze che possono essere più o meno gravi. Chi non protegge sé stesso, ma si preoccupa costantemente dell’incolumità e della felicità degli altri, ha più probabilità di sviluppare disturbi legati ad ansia, paura e insoddisfazione.

In tali condizioni, si diventa succubi di chi invece ha un sano egoismo ben sviluppato. Le persone forti e indipendenti alle quali ci si appoggia infatti, arrivano a credere di poter sottomettere chi si mostra più “debole”.

Chi dedica tutto il suo tempo a compiere il volere degli altri, non scoprirà mai l’importanza della propria intimità. Così come non saprà quali sono le sue capacità, le sue potenzialità o le sue preferenze.

Questo perché ci si concentra sempre su ciò che gli altri pensano, vogliono e chiedono. Mentre si dà poca importanza a quello che si è, e che si “desidera“ personalmente. 

Ad un certo punto, è necessario integrare nella propria coscienza  che non bisogna sottostare a niente e nessuno quando si tratta della propria vita. Ogni essere umano, se guarda dentro di sé, può trovare la forza di affrontare autonomamente qualsiasi decisione, situazione o condizione.

 

Una volta compreso questo, stare con gli altri non sarà più un bisogno. Ma una scelta. Il sano egoismo insegna sostanzialmente che “se io ho un problema e tu hai un problema, io ho il bisogno di preoccuparmi prima del mio problema, perché nessun altro può  farlo al posto mio”.

L’accettazione di questo concetto base è senza dubbio un buon inizio per una sana crescita interiore.

Quando io sono in grado di risolvere il mio problema, trasformando alchemicamente il mio piombo in oro, solamente allora potrò aiutare qualcun’altro, con la mia semplice presenza e testimonianza ad aiutare se stesso.

Foto di John Hain – Pixabay

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Impotenza psicologica: cause, sintomi e conseguenze

Impotenza psicologica: cause, sintomi e conseguenze

L’impotenza psicologica è una condizione che generalmente può nascere per cause fisiche, psicologiche o legate ad uno stile di vita inadeguato.

Gli episodi di disfunzione erettile possono capitare in qualsiasi momento anche a uomini che in realtà sono perfettamente fertili e in salute. Di solito in questi casi, la causa principale è l’accumulo di stress e ansia

Quando succede però, tale episodio può far scaturire delle reazioni psicologiche legate alla vergogna e all’inadeguatezza. Ed è proprio in quel momento che si innesca un meccanismo che diventa difficile interrompere.

Vediamo quali sono le cause, e sintomi e le conseguenze dell’impotenza psicologica. 

Impotenza psicologica: le possibili cause

Se dunque la disfunzione erettile non è legata a problemi di salute, è molto probabile che si tratti di impotenza psicologica. E, di solito, tale condizione è legata ad un’esperienza negativa che l’uomo non è riuscito a superare. 

Ma perché accade e qual è la causa? Generalmente questo succede quando l’uomo non accetta che possa essergli accaduto un episodio di disfunzione erettile. Tale “insuccesso” diventa per lui un problema e una vergogna talmente grandi, da condizionare poi anche i futuri rapporti sessuali che proverà ad avere. 

La disfunzione erettile legata alla sfera psichica può essere causata da: 

  • • Periodo di ansia e stress;
  • • Problemi nella relazione;
  • • Depressione;
  • • Ansia da prestazione; 
  •  Anestesia Pornografica
  • • Autostima bassa.

I sintomi più comuni

Se l’uomo si fa prendere dal panico quando capita un episodio saltuario di impotenza psicologica, la situazione tenderà ad aggravarsi. 

Infatti, dando troppa importanza al problema, non farete che accentuarlo e farlo durare di più, anche inconsciamente. 

Quando l’uomo non riesce ad accettare questa possibilità, è molto probabile che gli ricapiterà ancora. Proprio perché, quando si troverà ad affrontare un’altra situazione simile, sarà assalito dall’ansia da prestazione. 

Invece di lasciarsi andare al godimento del rapporto sessuale, il suo unico pensiero sarà: “E se succede anche stavolta?”

Il tutto non farà che peggiorare la situazione. Dunque i sintomi più comuni che l’uomo avvertirà in questo caso saranno: 

  • • Ansia da prestazione;
  • • Sudorazione e iperventilazione;
  • • Overthinking e impossibilità a rilassarsi;
  • • Impossibilità di riuscire nell’erezione;
  • • Imbarazzo e vergogna;
  • • Senso di inadeguatezza. 

Conseguenze dell’ansia da prestazione

Come abbiamo detto, quando l’impotenza psicologica capita sporadicamente, non c’è da preoccuparsi né da vergognarsi. Perché nella maggior parte dei casi si tratta di un problema facilmente risolvibile. 

In realtà, è proprio il pensiero fisso del contrario che porta l’uomo ad attivare quel meccanismo della continuità. Dunque, se egli non riuscirà ad accettare come normale tale episodio, la sua mente tenderà a riviverlo ancora e ancora. 

Le conseguenze sono presto dette. Quando egli sarà nuovamente nella condizione di avere un’erezione, i suoi pensieri non si concentreranno sul momento, ma ripercorreranno la vergogna provata. E la troppa paura di “non riuscire”, lo porterà ad avere un altro episodio di disfunzione. 

Il tutto continuerà a ripetersi finché nella mente dell’uomo non cambierà qualcosa. Egli dovrà riuscire a riprendere fiducia in sé stesso e nella sua virilità. Dovrà lavorare nel suo modo di ragionare. E accettare che, di tanto in tanto, i troppi pensieri e i vari problemi della vita possono portare ad una disfunzione. 

Ma non per questo si dovrà far condizionare da quello che è successo. O pensare che per forza gli ricapiterà di nuovo. Il consiglio migliore in questi casi è quello di lasciarsi andare alla passione del momento, tutto il resto poi verrà da sé. 

 

Foto di StockSnap da Pixabay

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Sottomissione nella coppia: effetti psicosomatici

Sottomissione nella coppia: effetti psicosomatici

La sottomissione nella coppia è un rischio che può riservare conseguenze piuttosto pericolose. Proprio perché, una volta che si è innescato il meccanismo, è davvero difficile che la relazione tossica possa poi trasformarsi in un rapporto di coppia sano. 

Generalmente, una relazione di questo genere è formata da una persona che domina e da un’altra che si lascia dominare. Per volere, paura, oppure semplicemente perché non conosce altro modo di rapportarsi ad un’altra persona.

Vediamo quali sono le conseguenze psicosomatiche in caso di sottomissione nella coppia.

Sottomissione nella coppia: dominanza o masochismo? 

Come abbiamo accennato prima, quando è presente una sorta di sottomissione nella coppia, si tratta generalmente di una relazione tossica. Il che significa che probabilmente, più che un rapporto d’amore, è un legame basato sulla dipendenza dall’altro. 

Le relazioni di questo tipo possono avere due possibili scenari: 

  • Uno dei due partner è aggressivo o violento (anche verbalmente), e impone la sua volontà su un partner debole. In tal caso, la persona sottomessa è consapevole della tossicità del rapporto, ma non lo interrompe per paura;
  • Uno dei partner ha un temperamento naturalmente dominante, mentre l’altro ha un carattere più accondiscendente. Qui è possibile che non ci sia una vera e propria sottomissione da parte della persona più “forte”, ma la parte debole lascia che l’altro decida per tutto, mettendo sempre da parte il suo volere. È probabile che la persona si lasci sottomettere “volutamente” perché soffre di bassa autostima, dipendenza affettiva e masochismo.

In entrambi i casi comunque, un rapporto di questo tipo tenderà a svilupparsi in maniera negativa. 

Il presupposto di una relazione sana é il rispetto reciproco e l’assenza di bisogno.

I possibili effetti psicosomatici 

Quando è presente una forma di sottomissione nella coppia, il partner debole ad un certo punto sentirà il bisogno di ribellarsi. Questo perché avrà vissuto l’intera relazione con una sofferenza tale che, alla fine, gli avrà permesso di “aprire gli occhi” e voler essere più forte.  

In entrambe le situazioni che abbiamo visto poco fa infatti, il partner sottomesso non riesce a comunicare la sua insofferenza e la sua insoddisfazione. Questo lo porta a sviluppare una rabbia interna sia contro sé stesso (perché si lascia dominare), sia contro il partner (perché domina volutamente, o perché ha un temperamento naturalmente più forte). 

Vivendo una relazione di questo tipo, ci saranno tanti momenti nei quali la parte sottomessa si sentirà perduta, sola e incapace di reagire. E tutto ciò può tradursi in episodi di ansia, depressione, sensazione di fallimento e di insoddisfazione generale. 

D’altra parte, chi domina, constatando lo stato di disagio e di sempre minore indipendenza dell’altro , si sentirà in dovere di calcare la mano. 

Questa costante infelicità si ripercuote sul benessere fisico. Possono manifestarsi frequenti mal di pancia, mal di testa, tensioni muscolari, spossatezza, difficoltà a respirare e mancanza di energia. Se la situazione si protrae per molti anni, c’è anche la probabilità che si sviluppi un esaurimento nervoso che porta la persona sottomessa a fare cose che non avrebbe mai pensato di poter fare. 

Infatti, come dicevamo, è inevitabile che ad un certo punto il partner debole tenda a ribellarsi. In questo caso è necessario stare molto attenti. Perché è possibile che, per via della troppa sofferenza vissuta, faccia fuoriuscire la sua rabbia repressa in maniera reattiva e fuori misura. 

Nei casi migliori, la parte debole si allontana dalla parte dominante perché si accorge che la sua vicinanza non gli consente di stare bene. Nei casi peggiori invece, il partner sottomesso arriva a compiere gesti estremi per far del male a sé stesso oppure all’altro partner. 

 

Foto di Dina Dee da Pixabay

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