Senso di colpa: quali conseguenze porta?

Senso di colpa: quali conseguenze porta?

Il senso di colpa è un’emozione complessa, che nasce in maniera innata nel cervello dell’essere umano. Quando accade qualcosa che generalmente è considerata sbagliata, si attua nella società il meccanismo della “ricerca del colpevole”. 

Il tutto si è accentuato poi con l’avvento della religione cristiana, che da sempre ha imposto regole molto ferree alla società occidentale. L’obbligo di reprimere certe emozioni, certi pensieri impuri o certi modi di vivere, fa nascere di conseguenza una sensazione di colpevolezza. Che influenza poi anche la percezione che ognuno ha di se stesso e dei propri comportamenti.

Studi scientifici dimostrano come a provare maggiormente questo sentimento siano le persone che più si attengono alle regole imposte dalla società. Chi invece si mostra più “individualista” in tal senso, in genere è anche più libero dall’imposizione di colpevolezza in generale.  

Vediamo che cos’è il senso di colpa, e quali conseguenze porta. 

Senso di colpa: cos’è e come nasce

Secondo la psicoanalisi, esistono due tipologie di senso di colpa: quello conscio e quello inconscio. 

La tipologia conscia nasce naturalmente nella struttura psichica dell’essere umano durante la sua crescita. Si tratta della sensazione di colpevolezza intesa come “sana”, perché porta il soggetto a capire quando sbaglia. E lo stimola a rimediare ai propri errori. 

Nasce inizialmente con le prime regole imposte dai genitori durante i primi anni del bambino. Quando è ancora piccolo, il soggetto non riesce a distinguere ancora il bene dal male, per cui non obbedisce con coscienza. Ma solo per timore di essere punito o di non essere più amato da chi lo protegge. 

Quando cresce poi, egli inizia a comprendere cosa siano la tristezza, l’angoscia e la delusione. Di conseguenza, è portato a provare dispiacere quando ferisce qualcuno. 

La tipologia inconscia invece è quella dannosa. Nasce con motivazioni irrazionali e sconosciute, e porta il soggetto a sentirsi colpevole di cose che, in realtà, non sono sbagliate.  

Questa dinamica può nascere quando i genitori hanno troppe aspettative sul bambino, per cui egli si sente colpevole se non riesce a soddisfarle. Ma può essere anche una conseguenza di un rapporto d’amore o d’amicizia difficile, in cui il soggetto viene spesso criticato. 

Il soggetto che subisce molte critiche, spesso per motivi futili, a lungo andare tenderà a sentirsi sbagliato e colpevole. Di solito comunque egli soffre già di una bassa autostima, e ciò accentua il malessere. 

Chi si sente in colpa è tendenzialmente legato all’infanzia ad una visione scevra di responsabilità ed alla ricerca di una assoluzione proveniente dall’esterno che gli tolga il peso della responsabilità che non vuole assumere su se stesso.

Quali sono le possibili conseguenze?

Il senso di colpa inconscio può portare numerose conseguenze negative per la persona. A livello psicologico, può far scaturire reazioni: 

  • Ansiose, quando la sensazione di colpevolezza fa nascere un sentimento di inferiorità. A lungo andare, il soggetto tenderà a sentirsi sempre più piccolo, debole e impotente. Sentirà di sbagliare anche facendo normali azioni quotidiane, e sarà costantemente pervaso dall’ansia;
  • Ipocondriache, quando il soggetto si sente talmente colpevole e sbagliato da pensare di “meritare” una punizione esterna. Spesso, quello che si aspetta di ricevere è una malattia;
  • Delinquenziali, quando l’individuo riesce a placare la sensazione di colpevolezza solo commettendo atti che potrebbero portarlo a ricevere una punizione dalle forze dell’ordine, e quindi dallo Stato.

La sensazione di colpevolezza può diventare patologica a seconda delle differenti caratteristiche della personalità del soggetto. In questo caso, si rende necessario seguire un percorso terapeutico che possa aiutare il soggetto a riprendere possesso della sua vita, delle sue azioni e, soprattutto, della realtà. Indipendentemente da chi lo circonda e da ciò che pensano gli altri.

Foto di PublicDomainPicturesPixabay

Se pratichi terapie corporee e desideri ricevere ulteriori informazioni sui nostri corsi di Osteofluidica Cranio Sacrale, compila il modulo qui sotto e in poche ore riceverai una risposta dettagliata.

6 + 1 =

Sano egoismo: che cos’è e perché dovremmo averlo

Sano egoismo: che cos’è e perché dovremmo averlo

Il sano egoismo è un bisogno naturale insito nell’essenza dell’essere umano. C’è chi lo sviluppa da bambino, chi da ragazzo e chi invece necessita di più tempo. Presto o tardi però, tutti tendono a prendere consapevolezza di quella che realmente è la propria vita, e smettono di dipendere dagli altri.

L’egoismo dunque, visto generalmente come qualcosa di negativo, ha una sua concezione positiva che è in grado davvero di migliorare la vita.

Di seguito vedremo che cos’è il sano egoismo, e perché tutti dovremmo averlo.

Sano egoismo: di cosa parliamo

Il sano egoismo è come un’arte, che per svilupparsi richiede molta forza di volontà, amor proprio e autostima. Se non si ha fiducia in se stessi e nelle proprie potenzialità, si lascerà agli altri il potere di decidere su tutto. Anche sulle cose che riguardano la propria vita.

Questo modo di agire porta a lungo andare ad una sorta di annullamento della persona, dei suoi pensieri e dei suoi bisogni. Non avrà bisogno di pensare, perché a pensare è qualcun altro. Non avrà bisogno di agire, perché a farlo sarà qualcun altro.

Inconsapevolmente, ci si ritrova all’interno di un tunnel (ben sapendo di esserlo) ma di cui ci siamo persi l’entrata ed al punto che, non si riesce a provare soddisfazione per i propri meriti. Perché impantanati dai bisogni degli “altri”.

Proprio per questo motivo, non è una consapevolezza semplice da sviluppare. È necessario compiere un lavoro interiore per accrescere la propria autostima e la fiducia in se stessi.

Allo stesso tempo, sarebbe molto d’aiuto iniziare a fare una selezione tra le persone che fanno parte della propria vita. Tenendo strette quelle con cui ci si sente felici. E trovando la forza invece di allontanare chi prova a limitare questo sviluppo interiore.

Perché tutti dovremmo averlo

L’assenza del sano egoismo nella vita, porta a delle conseguenze che possono essere più o meno gravi. Chi non protegge sé stesso, ma si preoccupa costantemente dell’incolumità e della felicità degli altri, ha più probabilità di sviluppare disturbi legati ad ansia, paura e insoddisfazione.

In tali condizioni, si diventa succubi di chi invece ha un sano egoismo ben sviluppato. Le persone forti e indipendenti alle quali ci si appoggia infatti, arrivano a credere di poter sottomettere chi si mostra più “debole”.

Chi dedica tutto il suo tempo a compiere il volere degli altri, non scoprirà mai l’importanza della propria intimità. Così come non saprà quali sono le sue capacità, le sue potenzialità o le sue preferenze.

Questo perché ci si concentra sempre su ciò che gli altri pensano, vogliono e chiedono. Mentre si dà poca importanza a quello che si è, e che si “desidera“ personalmente. 

Ad un certo punto, è necessario integrare nella propria coscienza  che non bisogna sottostare a niente e nessuno quando si tratta della propria vita. Ogni essere umano, se guarda dentro di sé, può trovare la forza di affrontare autonomamente qualsiasi decisione, situazione o condizione.

 

Una volta compreso questo, stare con gli altri non sarà più un bisogno. Ma una scelta. Il sano egoismo insegna sostanzialmente che “se io ho un problema e tu hai un problema, io ho il bisogno di preoccuparmi prima del mio problema, perché nessun altro può  farlo al posto mio”.

L’accettazione di questo concetto base è senza dubbio un buon inizio per una sana crescita interiore.

Quando io sono in grado di risolvere il mio problema, trasformando alchemicamente il mio piombo in oro, solamente allora potrò aiutare qualcun’altro, con la mia semplice presenza e testimonianza ad aiutare se stesso.

Foto di John Hain – Pixabay

Se pratichi terapie corporee e desideri ricevere ulteriori informazioni sui nostri corsi di Osteofluidica Cranio Sacrale, compila il modulo qui sotto e in poche ore riceverai una risposta dettagliata.

13 + 2 =

Impotenza psicologica: cause, sintomi e conseguenze

Impotenza psicologica: cause, sintomi e conseguenze

L’impotenza psicologica è una condizione che generalmente può nascere per cause fisiche, psicologiche o legate ad uno stile di vita inadeguato.

Gli episodi di disfunzione erettile possono capitare in qualsiasi momento anche a uomini che in realtà sono perfettamente fertili e in salute. Di solito in questi casi, la causa principale è l’accumulo di stress e ansia

Quando succede però, tale episodio può far scaturire delle reazioni psicologiche legate alla vergogna e all’inadeguatezza. Ed è proprio in quel momento che si innesca un meccanismo che diventa difficile interrompere.

Vediamo quali sono le cause, e sintomi e le conseguenze dell’impotenza psicologica. 

Impotenza psicologica: le possibili cause

Se dunque la disfunzione erettile non è legata a problemi di salute, è molto probabile che si tratti di impotenza psicologica. E, di solito, tale condizione è legata ad un’esperienza negativa che l’uomo non è riuscito a superare. 

Ma perché accade e qual è la causa? Generalmente questo succede quando l’uomo non accetta che possa essergli accaduto un episodio di disfunzione erettile. Tale “insuccesso” diventa per lui un problema e una vergogna talmente grandi, da condizionare poi anche i futuri rapporti sessuali che proverà ad avere. 

La disfunzione erettile legata alla sfera psichica può essere causata da: 

  • • Periodo di ansia e stress;
  • • Problemi nella relazione;
  • • Depressione;
  • • Ansia da prestazione; 
  •  Anestesia Pornografica
  • • Autostima bassa.

I sintomi più comuni

Se l’uomo si fa prendere dal panico quando capita un episodio saltuario di impotenza psicologica, la situazione tenderà ad aggravarsi. 

Infatti, dando troppa importanza al problema, non farete che accentuarlo e farlo durare di più, anche inconsciamente. 

Quando l’uomo non riesce ad accettare questa possibilità, è molto probabile che gli ricapiterà ancora. Proprio perché, quando si troverà ad affrontare un’altra situazione simile, sarà assalito dall’ansia da prestazione. 

Invece di lasciarsi andare al godimento del rapporto sessuale, il suo unico pensiero sarà: “E se succede anche stavolta?”

Il tutto non farà che peggiorare la situazione. Dunque i sintomi più comuni che l’uomo avvertirà in questo caso saranno: 

  • • Ansia da prestazione;
  • • Sudorazione e iperventilazione;
  • • Overthinking e impossibilità a rilassarsi;
  • • Impossibilità di riuscire nell’erezione;
  • • Imbarazzo e vergogna;
  • • Senso di inadeguatezza. 

Conseguenze dell’ansia da prestazione

Come abbiamo detto, quando l’impotenza psicologica capita sporadicamente, non c’è da preoccuparsi né da vergognarsi. Perché nella maggior parte dei casi si tratta di un problema facilmente risolvibile. 

In realtà, è proprio il pensiero fisso del contrario che porta l’uomo ad attivare quel meccanismo della continuità. Dunque, se egli non riuscirà ad accettare come normale tale episodio, la sua mente tenderà a riviverlo ancora e ancora. 

Le conseguenze sono presto dette. Quando egli sarà nuovamente nella condizione di avere un’erezione, i suoi pensieri non si concentreranno sul momento, ma ripercorreranno la vergogna provata. E la troppa paura di “non riuscire”, lo porterà ad avere un altro episodio di disfunzione. 

Il tutto continuerà a ripetersi finché nella mente dell’uomo non cambierà qualcosa. Egli dovrà riuscire a riprendere fiducia in sé stesso e nella sua virilità. Dovrà lavorare nel suo modo di ragionare. E accettare che, di tanto in tanto, i troppi pensieri e i vari problemi della vita possono portare ad una disfunzione. 

Ma non per questo si dovrà far condizionare da quello che è successo. O pensare che per forza gli ricapiterà di nuovo. Il consiglio migliore in questi casi è quello di lasciarsi andare alla passione del momento, tutto il resto poi verrà da sé. 

 

Foto di StockSnap da Pixabay

Se pratichi terapie corporee e desideri ricevere ulteriori informazioni sui nostri corsi di Osteofluidica Cranio Sacrale, compila il modulo qui sotto e in poche ore riceverai una risposta dettagliata.

14 + 11 =

Cicli del sonno: cosa accade nella mente mentre dormiamo?

Cicli del sonno: cosa accade nella mente mentre dormiamo?

Forse non tutti ne sono a conoscenza, ma durante la notte ognuno di noi attraversa dei cicli del sonno. Tutto ciò è stato scoperto grazie agli studi scientifici sulle misurazioni psicofisiologiche eseguiti con l’EEG (elettroencefalogramma).

Ciò che sappiamo oggi grazie a questi studi, è che il sonno è un processo fisiologico periodico. Il che significa che esistono delle fasi ben precise che la nostra mente attraversa durante il riposo. 

Ogni ciclo dura dai 90 ai y100 minuti ed è composto da 4 fasi più la fase REM. Durante una notte di 8 ore, lo stesso ciclo (con le fasi che vedremo) si ripete per circa 4 o 5 volte. 

Di seguito vediamo quali sono i cicli del sonno.

Cicli del sonno: Fase 1, addormentamento

Il primo tra i cicli del sonno è l’addormentamento, che dura solitamente dai 10 ai 20 minuti. Si verifica quando la persona inizia a rilassarsi al punto tale da passare dalla veglia (onde Beta) al sonno. 

In questa fase, (Alfa)  il battito cardiaco inizia naturalmente a rallentare, e la temperatura corporea incomincia ad abbassarsi. Anche l’attività cerebrale diminuisce, però la persona è ancora capace di reagire agli stimoli. 

A livello fisiologico, l’attività dell’EEG, seppure ancora irregolare comincia a sincronizzarsi. Iniziano quindi a comparire delle onde cerebrali a bassa frequenza, dette Theta

Fase 2: sonno leggero

A questo punto inizia la seconda fase dei cicli del sonno. Anche questa dura generalmente dai 10 ai 15 minuti, e rappresenta una fase intermedia tra l’addormentamento e il sonno profondo. 

Durante il sonno leggero, l’EEG è irregolare e mostra onde cerebrali molto simili a quelle che appaiono quando si è svegli. In realtà però, la mente si sta addentrando sempre di più verso il sonno profondo. I muscoli tendono a rilassarsi maggiormente, e la frequenza cardiaca rallenta ancora. 

Se l’individuo si sveglia durante questa fase, sarà convinto di non essersi proprio addormentato. 

Fase 3: sonno profondo

Il sonno profondo è meno lungo rispetto alle altre fasi, e dura circa 5 minuti, massimo 10. Qui il soggetto si è addormentato realmente. 

I livelli metabolici risultano molto lenti, e non c’è alcun movimento oculare. Allo stesso modo, anche le attività cerebrali sono assenti, perché il cervello sta attraversando un altro momento di transizione. 

In questa fase, l’EEG mostra una notevole riduzione delle onde lente (Theta). Queste infatti iniziano a lasciare spazio a quelle più intense, ovvero le onde Delta. È proprio in questa fase che si possono verificare con più probabilità episodi di sonnambulismo. 

Fase 4: sonno profondo effettivo

Tra i cicli del sonno, questa fase è quella del rilassamento più profondo. E dura all’incirca 20-25 minuti. In questo momento, le onde Delta prendono completamente il controllo delle attività neuronali, ed è molto difficile riuscire a svegliarsi. 

Il sonno infatti è molto pesante e i muscoli sono completamente rilassati. È proprio in questa fase che il cervello tende a lavorare maggiormente per rigenerarsi. 

Non si avvertono movimenti oculari. Si è completamente inconsci, ma non si sogna. Se il soggetto si sveglia durante questa fase, potrebbe sentirsi molto confuso per qualche minuto. 

Fase REM: sonno paradosso

La Fase REM, come probabilmente molti sanno, è la fase associata ai sogni. Semplicemente perché, se ci si sveglia in questa fase, è più facile ricordare il sogno che si stava facendo. 

L’elettroencefalogramma  qui mostra un tracciato molto irregolare, con un’alternanza di onde Theta e onde Delta. L’attività cerebrale risulta molto simile a quella che appare quando si è svegli. 

Durante questa fase, si verificano movimenti oculari molto rapidi, quasi come degli scatti. Da qui il nome REM (Rapid Eye Movement).

Il cervello è attivo, mentre il corpo cade in una sorta di paralisi. Le braccia e le gambe tendono a irrigidirsi, anche se la corteccia motoria è attiva.  

Nel primo ciclo, la fase REM dura molto poco. Mentre, man mano che i cicli del sonno si ripetono, la fase di sonno paradosso tenderà ad aumentare di durata.  

Foto Daniel Hannah da Pixabay

Se pratichi terapie corporee e desideri ricevere ulteriori informazioni sui nostri corsi di Osteofluidica Cranio Sacrale, compila il modulo qui sotto e in poche ore riceverai una risposta dettagliata.

13 + 3 =

Sottomissione nella coppia: effetti psicosomatici

Sottomissione nella coppia: effetti psicosomatici

La sottomissione nella coppia è un rischio che può riservare conseguenze piuttosto pericolose. Proprio perché, una volta che si è innescato il meccanismo, è davvero difficile che la relazione tossica possa poi trasformarsi in un rapporto di coppia sano. 

Generalmente, una relazione di questo genere è formata da una persona che domina e da un’altra che si lascia dominare. Per volere, paura, oppure semplicemente perché non conosce altro modo di rapportarsi ad un’altra persona.

Vediamo quali sono le conseguenze psicosomatiche in caso di sottomissione nella coppia.

Sottomissione nella coppia: dominanza o masochismo? 

Come abbiamo accennato prima, quando è presente una sorta di sottomissione nella coppia, si tratta generalmente di una relazione tossica. Il che significa che probabilmente, più che un rapporto d’amore, è un legame basato sulla dipendenza dall’altro. 

Le relazioni di questo tipo possono avere due possibili scenari: 

  • Uno dei due partner è aggressivo o violento (anche verbalmente), e impone la sua volontà su un partner debole. In tal caso, la persona sottomessa è consapevole della tossicità del rapporto, ma non lo interrompe per paura;
  • Uno dei partner ha un temperamento naturalmente dominante, mentre l’altro ha un carattere più accondiscendente. Qui è possibile che non ci sia una vera e propria sottomissione da parte della persona più “forte”, ma la parte debole lascia che l’altro decida per tutto, mettendo sempre da parte il suo volere. È probabile che la persona si lasci sottomettere “volutamente” perché soffre di bassa autostima, dipendenza affettiva e masochismo.

In entrambi i casi comunque, un rapporto di questo tipo tenderà a svilupparsi in maniera negativa. 

Il presupposto di una relazione sana é il rispetto reciproco e l’assenza di bisogno.

I possibili effetti psicosomatici 

Quando è presente una forma di sottomissione nella coppia, il partner debole ad un certo punto sentirà il bisogno di ribellarsi. Questo perché avrà vissuto l’intera relazione con una sofferenza tale che, alla fine, gli avrà permesso di “aprire gli occhi” e voler essere più forte.  

In entrambe le situazioni che abbiamo visto poco fa infatti, il partner sottomesso non riesce a comunicare la sua insofferenza e la sua insoddisfazione. Questo lo porta a sviluppare una rabbia interna sia contro sé stesso (perché si lascia dominare), sia contro il partner (perché domina volutamente, o perché ha un temperamento naturalmente più forte). 

Vivendo una relazione di questo tipo, ci saranno tanti momenti nei quali la parte sottomessa si sentirà perduta, sola e incapace di reagire. E tutto ciò può tradursi in episodi di ansia, depressione, sensazione di fallimento e di insoddisfazione generale. 

D’altra parte, chi domina, constatando lo stato di disagio e di sempre minore indipendenza dell’altro , si sentirà in dovere di calcare la mano. 

Questa costante infelicità si ripercuote sul benessere fisico. Possono manifestarsi frequenti mal di pancia, mal di testa, tensioni muscolari, spossatezza, difficoltà a respirare e mancanza di energia. Se la situazione si protrae per molti anni, c’è anche la probabilità che si sviluppi un esaurimento nervoso che porta la persona sottomessa a fare cose che non avrebbe mai pensato di poter fare. 

Infatti, come dicevamo, è inevitabile che ad un certo punto il partner debole tenda a ribellarsi. In questo caso è necessario stare molto attenti. Perché è possibile che, per via della troppa sofferenza vissuta, faccia fuoriuscire la sua rabbia repressa in maniera reattiva e fuori misura. 

Nei casi migliori, la parte debole si allontana dalla parte dominante perché si accorge che la sua vicinanza non gli consente di stare bene. Nei casi peggiori invece, il partner sottomesso arriva a compiere gesti estremi per far del male a sé stesso oppure all’altro partner. 

 

Foto di Dina Dee da Pixabay

Se pratichi terapie corporee e desideri ricevere ulteriori informazioni sui nostri corsi di Osteofluidica Cranio Sacrale, compila il modulo qui sotto e in poche ore riceverai una risposta dettagliata.

15 + 9 =